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Ruspe

Ultimo Aggiornamento: 16/02/2024 10:52
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Sesso: Femminile
unica e inimitabile
16/02/2024 02:12

Tutt’intorno, la facciata è decorata con le bombolette come a certificare lo stato di casa abbandonata.

La poltrona sfondata sulla veranda è l’unica cosa fuori posto, lo schienale appoggiato alla porta barricata e rivolta verso il vialetto sembra aspettarmi accogliente e pericolosa, come è sempre stata la mia famiglia.

È di similpelle screpolata e sotto al sole è rovente. Mi chiedo se a sedermi le cosce si scotteranno. Sospetto di sì, ma prima di provare faccio il giro dell’edificio. Sbircio dalle finestre impolverate.
Tutte le stanze al pianterreno sono senza mobili, piene di immondizia. In un angolo c’è un materasso strappato, forse il bivacco di qualche barbone. Si intravvede la scala con i gradini divelti.
Un sasso ha rotto la finestrella del bagno, lo vedo che riposa nel water senz’acqua come uno stronzo inanimato e senza odore, circondato da strisce di ruggine scure che spiccano sul bianco della ceramica.

La poltrona è lì che mi aspetta, come se sapesse che obbedirò anche oggi a mio padre.
Le sue ultime parole rimbombano nella mia testa, aveva un gran senso del melodramma:” Se uscite da quella porta per me siete morti e non rientrerete più! Avete capito? Morti e defunti! Comprerò una lapide da mettere in giardino e se mai vi rivedrò, vi tratterò come fantasmi, ingrati di merda che non siete altro!”

E invece sono morti loro, tutti e tre, uno dopo l’altro.

Sono in anticipo di un’ora almeno. Controllo la borsetta, i documenti ci sono ancora.
Insieme alla voce di mio padre, vedo gli occhi acquosi di mia madre incorniciati di capillari e occhiaie.
Le braccia lungo il corpo mi fissava, incapace di un qualsiasi gesto.
Volevo una madre con tutta me stessa, una madre che non avesse l’alito che odorasse sempre di mentine, che si preoccupasse dei miei voti a scuola, che risolvesse le liti fra me e mio fratello, che almeno qualche volta scegliesse la lavatrice invece della bottiglia.

Scotta davvero la poltrona, ma qualsiasi dolore è meglio dei miei ricordi.
A destra del vialetto c’era un’altalena sgangherata e di fianco lo stenditoio con i fili alti, tanto che fino ai dieci anni mi ci voleva uno sgabello per stendere. Mio fratello mi passava alle spalle e mi buttava giù, però lo perdonavo perché mi faceva ridere.

Quando i nostri genitori storditi dall’alcol venivano alle mani, capitava che mi portasse in veranda e imitasse mio padre dicendo:” Al contadino non far sapere, quanto è buono il formaggio nel sedere!” Subito dopo faceva la voce della mamma:” Mauro, non essere volgare!”, e rispondeva con la voce del babbo: “Ho detto sedere, mica culo!” Ridevamo come matti, così tanto da non sentire le stoviglie rotte e le urla.

Pietro ha tenuto duro per me e per sé stesso.
Lasciava che dormissi con lui ogni volta che i nostri genitori esageravano.
Chiedevamo a mia mamma, perché fosse così, la sua risposta era invariabilmente: “Non sono affari vostri!”, accompagnato da un bicchiere di spritz.

Il giorno del suo trentunesimo compleanno se ne andò senza una parola, senza un messaggio e senza niente, neppure una minuscola valigia.
Mi mancava da morire, allora andavo ad annusare l’Aperol che profumava dei rari baci che mi dava.
Per mio padre, amante della birra di giorno e del vino da quattro soldi alla sera, era chiaro: “La colpa è vostra. Siete bambini troppo impegnativi per quella donna, che già è una rammollita di suo.”

Così, da quel giorno, dalla sua poltrona istituì una dittatura fatta di stracci e schiaffi.
Stracci per pulire e schiaffi per metterci in moto.
Eravamo due ragazzi pulitissimi, ordinatissimi, educatissimi e andavamo pure bene a scuola, senza amici, ci bastavamo noi due. Ci coprivamo le spalle a vicenda, nati per sopravvivere.
La prima volta che Pietro si è ribellato a nostro padre, aveva sedici anni, io quindici. Mio padre l’ha ignorato, si è sfilato la cinghia e ha iniziato a frustarmi a sangue freddo, con metodo. Ogni colpo diceva: “Hai capito come funziona Pietro? Tu fai cazzate e lei paga. Non ce l’ho a portata di mano? Fa lo stesso, paga dopo.” Sono rimasta a casa per una settimana prima che sparissero i segni dalle braccia e dalle gambe.

Il rumore di un aereo che vola a bassa quota, interrompe i miei pensieri.
Mi sembra di essere seduta qui da una vita, invece mi rendo conto che sono passate solo due sigarette. Tanto vale continuare a rivangare il passato, non avrò altra occasione.

Ero terrorizzata dalla maggiore età di Pietro.
Sarebbe stato libero, mi avrebbe lasciato da sola in balia di mio padre.
Invece no, è rimasto. Si è trovato un lavoro come muratore, metteva da parte i soldi per un appartamento dove poter andare a vivere.
Il 3 luglio sarei diventata maggiorenne.
Il 4 luglio uscivamo di casa, valige in mano, inseguiti dalle urla di mio padre.
Era il nostro personale giorno dell’indipendenza.

Pietro ed io abbiamo avuto diversi anni belli.
Sempre noi due e basta, fino a quando ha ceduto un’impalcatura. Una disgrazia, hanno detto.
La mattina abbiamo bevuto il caffè assieme, mi ha accompagnato al negozio e poi non c’era più.
A casa, tra i suoi libri ho trovato una lettera destinata a me.


“Sabrina,
prima o poi ognuno dovrà fare la sua vita, crearsi una famiglia. Ci saremo sempre l’uno per l’altro, ma non so davvero come fare: io mi sono innamorato, ma ho paura a dirtelo e a lasciarti da sola.
Forse sono io ad avere paura di non riuscire a vivere senza di te, ma credo che adesso sia il momento e …”

Era datata una settimana prima dell’incidente.
Non era riuscito a finirla e lui aveva solo ventisei anni.
Al funerale c’erano i suoi colleghi, dei miei genitori nemmeno l’ombra.
Cercavo una donna, quella di cui era innamorato, vedova ancor prima di sposarsi; invece, si è avvicinato un ragazzo che dopo avermi fatto le condoglianze, dice: “Di qualsiasi cosa avrai bisogno io ci sarò sempre”.
“Vi siete amati tanto?” gli chiedo
“Allora te l’ha detto come mi aveva promesso.”
Le sue lacrime sono le mie e riesco a piangere tutto il mio dolore.

È quasi passato un anno. Mentre esco dal supermercato mi sento chiamare da una donna.
Sembra anoressica, quasi senza denti.
“Sei tu, Sabrina?” la voce roca rotta dall’emozione.
“Si?”
“Sono la mamma. Come stai?”
Quel mucchio di ossa tremante devastato dall’alcol, e da chissà che altro, voleva farsi passare per mia madre?
“Scusi?”
“Forse sono cambiata un po’, ma sono la mamma. Pietro come sta?”. Si era ingobbita, e puzzava.
“Senti Sabrina, ce l’hai una sigaretta o magari qualche moneta per aiutare tua mamma?”

Era diventata una barbona incrostata di lerciume che chiedeva la carità a sua figlia.
Le ho dato cinquanta euro che avevo nel portafoglio, si era già voltata per andarsene lanciandosi alle spalle un “Ciao, grazie!”
“Mamma, Pietro è morto.”
Non ho mai visto tanto dolore concentrato in una persona, era come se sbattessero mille porte.
Pochi giorni dopo se l’è portata via un’overdose.
Non so nemmeno se abbia avuto un funerale, so solo che il comune ha mandato un conto equamente diviso fra me e mio padre.

Sei mesi fa è toccato a lui. Cirrosi epatica.
Ha sofferto per un anno in una casa di cura. Quando c’era da pagare, pagavo e nulla più.
Non volevo vederlo per non provare rancore, per non ricordare.
Mentre lui era ricoverato hanno svaligiato diverse volte la casa, portandosi via qualsiasi cosa; e va bene così, perché non avrei avuto la forza di alzare un fazzoletto lì dentro.

“Signorina!”

Devo essermi addormentata su questa maledetta poltrona al sole.
“Mi scusi, se l’ho spaventata, non mi aspettavo che fosse in anticipo anche lei. Vuole seguirmi per cortesia, il notaio è già arrivato.”

Mi alzo e con la borsetta in mano faccio per l’ultima volta questo vialetto lasciandomi alle spalle, spero per sempre, il passato.
Davanti a me il container dell’impresa a cui mancano i quattrocento metri quadrati di terreno edificabile di mio padre per poter infine realizzare il nuovo quartiere residenziale.

Metto sul tavolo l’atto di proprietà, il notaio e l’amministratore delegato verificano.
“È tutto pronto?” chiedo.
Me lo confermano.
Data: 4 luglio. Firmiamo e metto nella borsetta un assegno circolare da 750.000 euro.

Borsetta al braccio esco dal container, come segnale sventolo il mio cappello e le ruspe si avventano sulla mia personale Bastiglia, come d’accordo.


Mi sembra ieri.
Sono ancora seduta su una poltrona di similpelle a scottarmi le cosce in una veranda, ma alle mie spalle c’è una porta aperta e davanti a me il mare. Il cappello della liberazione è appeso in ingresso da quindici anni, ancora ricoperto dalla polvere grigia di quel giorno e spero che mia figlia non ne debba mai capire l’importanza.
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Post: 344
Età: 100
Sesso: Maschile
16/02/2024 08:37

Buongiorno Rabe,
grazie per aver raccolto l'invito e non solo il mio, di pubblicare in questa sezione qualche tuo racconto..., da oggi mi sentirò meno solo. 😉

Benvenuta... 🌺


Ah quasi dimenticavo.
Questo è uno dei tuoi racconti che amo di più, talmente intenso che mentre lo leggi ti ritrovi a camminare tra tante emozioni e parole: incredulità, rassegnazione, rabbia, dolore, tenerezza, amore. Sono così tante che è impossibile contarle. Eppure ce n'è una, quella nascosta nel finale che bisogna sempre ricordare "speranza..."
[Modificato da Kaos Calmo 16/02/2024 09:26]
ONLINE
Post: 5.283
Sesso: Femminile
16/02/2024 09:07

Grazie Rabe.
Ciao, buona giornata


-+-+-+-+-+-+-+-
Cadi sette volte, rialzati otto
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Post: 532
Sesso: Maschile
16/02/2024 09:10

Vabbè ma quà scrivete tutti da paura!

Non si potrebbe aprire anche una sezione analfabeti, in modo tale che gente come me si senta più a suo agio?

Bellissimo Rabe👍
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Post: 242
Sesso: Femminile
unica e inimitabile
16/02/2024 09:42

Sai, Kaos, hai il pregio di farmi ricordare ciò che dimentico e di leggere quello che non so di aver scritto.
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Post: 3.619
Sesso: Femminile
16/02/2024 09:52

molto bello rabe.
ONLINE
Post: 5.283
Sesso: Femminile
16/02/2024 10:52

Alessio (7K21230421), 16/02/2024 09:10:

Vabbè ma quà scrivete tutti da paura!

Non si potrebbe aprire anche una sezione analfabeti, in modo tale che gente come me si senta più a suo agio?

Bellissimo Rabe👍

Esiste.

La discussione si intitola : Due parole per uno scrittore.

Ora che lo sai, non hai più scuse: vai a scrivere 😁


-+-+-+-+-+-+-+-
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